Sergio D’Antoni è stato Segretario Generale della CISL dal 1991 al 2000. Deputato della Repubblica dal 2004 al 2013, ha assunto l’incarico di vice Ministro dello sviluppo economico dal 2006 al 2008. Dal giugno 2014 è presidente del CONISicilia.
Il suo impegno comincia all’Università nel 1965. Da siciliano vive il ’68 palermitano. In questo contesto, come nasce la scelta di impegnarsi nel sindacato e perché scelse di farlo proprio nella CISL?
Già durante il periodo liceale e poi negli anni dell’università alla facoltà di giurisprudenza di Palermo , insieme ad altri amici come Luigi Cocilovo e Vito Riggio, ci ponevamo domande coerenti per i necessari cambiamenti nel sistema economico e sociale dell’isola e di tutto il Paese. Come tanti giovani siciliani, avevamo percorso il ’68 con rabbia e con una diffusa voglia di cambiamento. I nostri modelli erano John Kennedy, Martin Luther King, ma soprattutto Don Milani, che aveva insegnato l’uso delle parole ai bambini e ai contadini di Barbiana. “Lettera a una professoressa”, segnerà indubbiamente la mia formazione. Volevamo rivoltare questa concezione di un meridionalismo fatalista e piagnone. Riscatto sociale era la nostra parola d’ordine. Volevamo partire dai bisogni del territorio, dai quartieri degradati ed abbandonati, da chi stava in prima linea nei luoghi di lavoro, dai più deboli. Per questo scelsi di impegnarmi in particolare nella Cisl, il sindacato autenticamente riformista , che sul piano dei valori fondativi, laica ma profondamente legata alla dottrina sociale della Chiesa, rispecchiava questa nostra voglia di cambiamento, attraverso la il dialogo sociale ed un ruolo centrale del sindacato , mai subalterno alla politica. In questo percorso virtuoso e responsabile incrociammo uomini di grande valore e lungimiranza come Piersanti Mattarella, presidente della regione siciliana in quegli anni. Fununa stagione esemplare di rinnovamento, di accordi importanti, un vero e proprio laboratorio politico e sociale. Unire il paese, combattere l’illegalita’, offrire una prospettiva di sviluppo equo e di riscatto sociale. Questo fu l’obiettivo della mia generazione, assieme a tanti giovani che in quegli anni scelsero la strada dell’impegno civile e sociale nel sindacato.
Nel 1991 è chiamato a guidare la CISL dopo la segreteria di Franco Marini. Quali sono state le sfide più importanti affrontate da segretario generale?
Erano anni di grandi trasformazioni politiche, economiche e sociali. Una vera rivoluzione che andava guidata e governata con un protagonismo dei corpi intermedi e della società civile, ed una capacità di proposta all’altezza della sfida . La caduta del muro di Berlino e la Centesimus Annus di Papa Giovanni Paolo II avevano ridisegnato i rapporti tra istituzioni, corpi sociali, economia e mondo del lavoro. Sotto i colpi della magistratura era crollato nel nostro paese il sistema della partitocrazia. In quella fase il sindacato ed in particolare la Cisl assunse una funzione centrale nel nostro paese di proposta, di responsabilità e di sintesi certamente non facile. Grazie alla politica di concertazione ed ai grandi accordi del 1992 e 1993 ma anche quelli successivi del settembre del 1996 e del Natale del 1998 riuscimmo ad abbattere in maniera efficace l’inflazione, far crescere il paese, tutelare i redditi dei lavoratori e dei pensionati, ridurre fortemente il debito pubblico, avviare la riforma del sistema pensionistico, del fisco e della pubblica amministrazione. Furono tutti fattori decisivi che permisero al nostro paese di restare nell’Europa del primo gruppo e di centrare l’obiettivo della moneta unica europea. Un ruolo centrale della Cisl che lo stesso Premio Nobel per l’Economia Modigliani indicava come un esempio moderno e virtuoso di nuova politica economica in tutto il mondo.
Lei ha guidato la CISL nel nuovo millennio, in un’epoca di straordinari cambiamenti storici e politici. Può fare un bilancio complessivo e dirci, se li ha, un rimpianto e una soddisfazione derivanti da questa esperienza?
La mia esperienza nella Cisl è stata molto lunga e piena di soddisfazioni. Non spetta a me stilare bilanci o giudizi. Questo è compito degli storici del movimento sindacale. Penso tuttavia che la via autonoma del sindacato, il successo della politica di concertazione, l’ipotesi di una nuovo grande soggetto collettivo unitario, la via della democrazia economica e della partecipazione, siano stati in quel decennio una proposta complessiva di sviluppo adeguata alle nuove esigenze dell’economia e della società. L’Italia era stata messa di fronte all’urgenza di cambiare il suo vecchio equilibrio di sistema, non senza resistenze dei ceti conservatori, le incomprensioni e le miopie che attraversano il mondo politico, economico e dello stesso movimento sindacale. La Cisl vinse questa sfida. Con i nostri accordi in qualche modo riscrivemmo la costituzione materiale del sindacato, determinando non solo un nuovo assetto contrattuale ma anche affermando un protagonismo nuovo dei lavoratori nel governo di una società complessa come la nostra. Forse l’unico rimpianto di quegli anni straordinari è non essere riusciti a far nascere un nuovo sindacato unitario che avrebbe dato entusiasmo, potenzialità ed un dinamismo nuovo per le future conquiste del lavoro.
Nelle difficoltà e nelle incertezze del contesto economico e dello scenario internazionale, come lo immagina il sindacato del futuro?
Io penso che un democrazia moderna abbia sempre più bisogno del consenso e della partecipazione della società civile per garantire le esigenze di tutte le persone, a partire dai lavoratori, dai soggetti più deboli ed emarginati. Il sindacato attuale ed anche del futuro non può che partire da questo punto fermo. In questi ultimi vent’anni il paese non è cresciuto, sono aumentate le diseguaglianze sociali, la povertà, la precarietà , le distanze tra aree forti ed aree deboli. La politica, salvo qualche lodevole eccezione, ha pensato di fare a meno del ruolo della società civile e dei corpi intermedi. È stato un errore che spero si possa recuperare con una nuova stagione di vera concertazione che è l’unica strada per governare lo sviluppo nell’equità. Il massiccio avanzamento tecnologico va messo al servizio della protezione dell’ambiente, per uno sviluppo compatibile, per formare meglio le persone, per far avanzare nel nostro paese ed in tutto il mondo una autonoma via di progresso e di democrazia economica. Ci sono tanti lavori nuovi senza le opportune tutele e diritti, tanti territori soprattutto al Sud abbandonati senza scuole, ospedali, infrastrutture moderne, strade, ferrovie, servizi sociali, impianti sportivi. Il sindacato è l’unico soggetto che può occuparsi di tutto questo, uno dei pochi presidi di solidarieta’ che sono rimasti in una società individualista, in un mondo del lavoro sempre più frammentato, dove va superata la distribuzione iniqua estendendo il ruolo attivo dei lavoratori, sia con la contrattazione, sia con la partecipazione a tutti i livelli di decisione del sistema produttivo.
Se dovesse dare un consiglio al sindacato confederale e uno all’attuale classe politica per affrontare le difficoltà del presente, cosa direbbe loro?
Ho sempre pensato che gli ex sindacalisti debbano astenersi dal dare consigli al sindacato. La Cisl è oggi guidata da un bravissimo segretario generale come Luigi Sbarra e da una classe dirigente a tutti i livelli all’altezza della sfida, capace di indicare con autorevolezza ed in autonomia al paese ed a tutti gli interlocutori, soluzioni concrete attraverso una linea riformista, partecipativa, responsabile. Le ripercussioni gravi del conflitto russo ucraino non possono essere affrontate dai governi anche più forti ed autorevoli senza un grande patto sociale tra le istituzioni, la politica e le parti sociali. Questa è la lezione sempre attuale della stagione degli anni novanta, frutto anche del sacrificio di uomini eroici come Ezio Tarantelli o Massimo D’Antona, che hanno pagato con la vita per aver indicato la strada del dialogo sociale alternativa all’antagonismo sterile ed al conflitto.