Il lavoro pubblico digitalizzato: sfide comuni per i sindacati europei

Il lavoro pubblico digitalizzato: sfide comuni per i sindacati europei | Cisl Fp | Funzione Pubblica

La modernizzazione della PA è un tema che ritorna da qualche anno nelle ‘Raccomandazioni’ che la Commissione europea rivolge agli Stati membri nella cornice del Semestre europeo. Concetto ampio quanto vago, comunque inscindibile dal passaggio alle modalità digitali per gestire le procedure amministrative e i rapporti con i cittadini. Relativamente scarso è stato però, fino ad oggi, l’interesse dell’Ue per gli effetti della digitalizzazione sul mondo del lavoro in generale e nello specifico sul lavoro pubblico. I sindacati europei, dal canto loro, stanno invece articolando un’ampia riflessione su come vada intesa e attuata una digitalizzazione giusta ed inclusiva dal punto di vista dei lavoratori.

In Italia il dibattito si è focalizzato finora soprattutto sullo sviluppo di infrastrutture e protocolli digitali per la PA, e in parte minore sullo sviluppo delle competenze. In altri paesi il dibattito sugli effetti della digitalizzazione sulla qualità della vita lavorativa è più avanzato, e vede i sindacati protagonisti nel porre alcune domande chiave sul futuro del lavoro digitalizzato: i servizi – compresi quelli pubblici – potrebbero andare incontro ad un’erosione del lavoro umano a vantaggio delle ‘macchine’ materiali (robot) o virtuali (algoritmi)? Come traghettare le professionalità destinate ad essere in tutto o in parte automatizzate verso ruoli e mansioni in cui le competenze cognitive, creative e relazionali umane restano insostituibili? Quali norme e modelli di governance garantiranno i valori fondativi del servizio pubblico in un contesto digitalizzato? In che modo la contrattazione potrà impedire che la digitalizzazione spinga al ribasso la qualità del lavoro, e farne invece una leva di miglioramento?

Non c’è dubbio che la trasformazione digitale del lavoro comporti anche molte opportunità per i lavoratori: più spazi di autonomia nell’esecuzione delle attività, più stimoli e strumenti per l’evoluzione professionale e l’acquisizione di competenze avanzate, prassi e contesti più agili e collaborativi. Finora, tuttavia, questi processi sono stati spesso guidati dall’alto e con un focus esclusivo sull’efficientamento economico, riservando spazi molto ridotti – quando non inesistenti – al coinvolgimento delle parti sociali e alla progettualità autonoma che queste possono esprimere. Questo ha portato spesso a sottovalutare la complessità del cambiamento dal punto di vista delle persone che devono concretamente gestirlo, e a non accompagnare l’evoluzione tecnologica con una parallela e coerente evoluzione organizzativa in grado di sfruttarne le potenzialità.

Il sindacato europeo ha compreso la necessità di svincolarsi da ruolo puramente reattivo rispetto ai processi di innovazione digitale, e di conquistare spazi di informazione e di partecipazione da attivare prima che questi vengano implementati. A questo scopo Epsu ha iniziato a mappare le esperienze delle affiliate e a mettere a fuoco gli aspetti critici più urgenti, tanto quelli trasversali quanto quelli specifici di ciascun settore, da condividere con le controparti datoriali ai tavoli di dialogo sociale. Nell’ambito delle amministrazioni centralizzate, ad esempio, è stato approfondito il nesso tra digitalizzazione e rischi psicosociali; per le amministrazioni locali sono state scelte due figure professionali rappresentative, l’assistente sociosanitario a domicilio e il consulente dei servizi pubblici per l’impiego, per indagare come essa ne sta modificando i contenuti e le prassi, l’organizzazione delle attività quotidiane e la qualità percepita della vita lavorativa. L’obiettivo è capire come in concreto le pratiche partecipative e negoziali possono orientare questi processi, e quindi ottenere il riconoscimento di spazi adeguati di contrattazione a tutti i livelli per coprogettare i processi di innovazione e valutarne le ricadute sociali e occupazionali. Alcuni esempi:

  • Trasparenza e rispetto della privacy sono garanzie che spettano ai lavoratori così come agli utenti di qualsiasi servizio. Occorre stabilire dei limiti riguardo a quali dati possono essere raccolti e quali usi il datore può farne. Strumenti e modalità della raccolta dati vanno sviluppati e implementati in maniera condivisa, per evitare che vengano introdotte forme invasive di controllo e sistemi di valutazione del dipendente basate su criteri arbitrari, con possibili ricadute sulle prospettive retributive e di carriera.
  • Gli impatti psicologici dell’intensificazione dei ritmi di lavoro e della sua ‘virtualizzazione’ sono fenomeni complessi da comprendere e misurare, ma che in prospettiva devono entrare in una corretta valutazione dei rischi, insieme alle forme di violenza che passano attraverso la rete. Le norme e prassi su salute e sicurezza dovranno essere adattate non solo a strumenti di lavoro nuovi, ma a processi lavorativi profondamente ridisegnati e ai rischi ad essi inerenti, principalmente ma non solo psicosociali. Accanto alla dimensione soggettiva, questi fenomeni vanno analizzati e compresi dal punto di vista organizzativo – difficoltà di implementare modalità di lavoro basate sulla fiducia e la responsabilizzazione, più che su vincoli esterni – e sociale – lo smarrimento del lavoro come contesto di esperienze e valori condivisi nella vita reale.
  • Il graduale superamento delle coordinate spazio-temporali tradizionali della prestazione lavorativa richiederà un approccio diverso alla conciliazione tra vita professionale e privata. A partire dal diritto alla disconnessione, a non essere cioè obbligati alla reperibilità permanente fuori da ogni orario calcolato. Apripista in Europa è la Francia, che ha inserito il nuovo diritto nel Codice del lavoro e sollecitato le parti sociali a negoziare accordi aziendali o di settore. In generale va assicurato il rispetto dei principi della Direttiva UE sugli orari.
  • L’obsolescenza delle competenze va colmata con massicci investimenti in formazione e riqualificazione. Senza piani formativi concordati – sempre in Francia sono stati istituiti organismi settoriali bipartiti con lo specifico compito di anticipare i fabbisogni di competenze legate all’innovazione – e adeguatamente finanziati, si rischia di rafforzare la polarizzazione tra alte e basse qualifiche, tra percorsi di carriera proiettati verso il futuro e altri sempre più chiusi e residuali. La formazione continua deve essere rivolta a tutti i lavoratori, e di qualità non inferiore a quella fornita ai lavoratori del privato. All’acquisizione di maggiori competenze sia tecniche che organizzative deve corrispondere poi una valorizzazione economica proporzionata alla crescita che ne deriva per l’organizzazione.
  • Le nuove modalità lavorative potranno incidere in maniera diversa sulla vita di uomini e donne, ma anche indurre ulteriori disparità nelle opportunità di realizzazione professionale, se non si supera il pregiudizio che vuole le donne meno qualificate per ricoprire ruoli ad alta specializzazione tecnica. Una digitalizzazione realmente inclusiva necessita di una integrazione attenta e continua degli aspetti di genere e degli obiettivi di parità nella legislazione così come nella contrattazione.
  • La necessità di protocolli comuni per l’interoperabilità tra pubbliche amministrazioni, ancor più in ottica di cooperazione transfrontaliera, potrebbe innescare una nuova ondata di esternalizzazioni e ridisegnare profondamente il panorama dei soggetti coinvolti nella fornitura di servizi pubblici, e di conseguenza la copertura contrattuale e lo status occupazionale dei dipendenti. Il fatto che la digitalizzazione abiliti contesti di lavoro più flessibili rispetto all’organizzazione tradizionale potrebbe sollecitare un maggiore ricorso a forme contrattuali discontinue. Potrebbe nascere ai margini del sistema pubblico una forza lavoro non inquadrabile nelle categorie contrattuali classiche, per la quale andranno costruiti sistemi di protezione, valorizzazione e partecipazione adeguati.

In vista degli sforzi che il nostro Paese continua a compiere in direzione dell’amministrazione digitale, e della sperimentazione dello smart working nelle PA centrali e locali che è uno dei punti qualificanti dei nuovi contratti collettivi, è urgente per noi maturare – e promuovere a nostra volta tra i lavoratori interessati e ai tavoli di confronto – la consapevolezza che quando si parla di lavoro digitalizzato non si parla solo di questioni tecniche per specialisti, ma di innovazioni organizzative complesse, i cui benefici non si distribuiranno equamente (e forse neppure si materializzeranno) se non anticipando e contrattando tutti gli aspetti del lavoro che ne saranno investiti. Come Cisl Fp possiamo fare tesoro anche della riflessione e dell’esperienza dei colleghi europei, per costruire forme innovative di rappresentanza e tutela per i lavoratori del futuro.