Sebbene in termini di PIL le condizioni dell’Europa siano in via di miglioramento, gli strascichi della crisi e le disuguaglianze tra Paesi e tra fasce sociali in termini di reddito, benessere e qualità della vita restano ben visibili. Nel frattempo globalizzazione, trasformazione digitale e sviluppi demografici pongono sfide che, se mal gestite, rischiano di amplificarle e di allontanare ancora di più l’obiettivo della “crescita inclusiva” che l’UE si era posta con la strategia Europa 2020.
Da questa constatazione della necessità di rilanciare la dimensione sociale dell’UE – rimasta indietro, così come l’Europa politica, rispetto al processo di integrazione economico-finanziaria – ha preso le mosse l’iniziativa del Pilastro europeo dei diritti sociali, ratificato a novembre 2017 dopo una lunga fase di consultazione che ha coinvolto le parti sociali. Un documento che intende tracciare una cornice di riferimento per monitorare le performance degli Stati membri dal punto di vista sociale e occupazionale e fare da ‘bussola’ per un percorso di convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro in tutta Europa.
Il Pilastro formula 20 principi e diritti fondamentali, articolati in tre categorie: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque, protezione e inclusione sociale. Concepito principalmente per i Paesi della zona euro, ma aperto all’adesione di tutti gli Stati membri, esso ribadisce molti contenuti già presenti nell’acquis comunitario e nelle norme internazionali, e li integra alla luce delle nuove realtà che emergono dai cambiamenti sociali, economici e tecnologici.
In base al principio di sussidiarietà, molti degli strumenti necessari per dare concretezza a questi principi e diritti sono nelle mani delle istituzioni nazionali e locali, delle parti sociali, e della società civile in generale. Questo significa che, per essere esigibili, necessitano di provvedimenti e di azioni da definire e implementare al livello appropriato. In particolare, la competenza sulle politiche sociali e occupazionali spetta agli Stati membri mentre il ruolo della Ue consiste nel creare, tramite atti normativi e/o quadri strategici e di indirizzo, le condizioni per un processo di graduale armonizzazione. In alcune delle aree menzionate dal Pilastro, poi, la Ue non ha alcun potere di intervento ma solo un ruolo di facilitatore dei rapporti tra Stati membri: ad esempio le politiche salariali, poiché la UE riconosce l’autonomia delle parti sociali.
In molti casi lo scopo del Pilastro consiste nel garantire la piena e corretta implementazione in tutti gli Stati membri di norme che fanno già parte dell’acquis comunitario. In ambito sociale infatti esso annovera oltre 50 direttive, tra cui quelle che riguardano parità di genere, divieto di ogni forma di discriminazione, coordinamento dei sistemi di protezione sociale, tutela della sicurezza e della salute sul lavoro, orari di lavoro, rapporti di lavoro part-time, a termine e interinale, tutela in caso di fallimento del datore. Oltre alle direttive, temi di rilievo sociale sono oggetto di strumenti di soft law come le Raccomandazioni, tra cui quelle sul reddito minimo, l’inclusione sociale attiva, la garanzia giovani, gli investimenti sull’infanzia e sulle competenze; e infine quadri di riferimento che non hanno valore normativo bensì strategico e politico, come gli obiettivi in materia di istruzione, occupazione e riduzione della povertà.
Ove necessario per orientare e sostenere le azioni degli Stati membri, questo corpus potrà comunque essere aggiornato e integrato. Contestualmente al Pilastro sociale, la Commissione ha infatti messo in campo iniziative legislative e non ad esso correlate: un quadro di valutazione della situazione sociale che misurerà le performance degli Stati membri in 12 aree e i cui risultati confluiranno nel Semestre europeo, chiarimenti sulla corretta applicazione della direttiva sugli orari di lavoro, e due proposte di direttive rispettivamente su conciliazione vita-lavoro e informazione ai lavoratori sulla natura e le condizioni del rapporto di lavoro.
Il mondo sindacale europeo, nell’accogliere positivamente l’adozione del Pilastro sociale, non ha mancato di sottolineare che la sua attuazione non può prescindere dalla creazione delle giuste condizioni economiche e politiche. Nella lunga fase di consultazione che ha portato al testo definitivo, la CES ha evidenziato alcuni fattori chiave necessari per dare concretezza al Pilastro:
deve essere accompagnato da un Piano di azione, da investimenti adeguati da inserire nel quadro finanziario pluriennale dell’Ue (allo stato si prevede un ri-orientamento dei fondi europei destinati ad investimenti sociali) e da una revisione della legislazione per rafforzare i diritti esistenti e/o crearne di nuovi;
deve avere il sostegno di tutte le istituzioni europee attraverso un approccio integrato, posto che il TFUE include il progresso sociale tra gli obiettivi dell’Unione;
deve essere incluso nei processi della governance comune, bilanciando l’approccio esclusivamente economico tenuto finora con l’inserimento di “raccomandazioni sociali” annuali agli Stati membri;
deve valorizzare il dialogo sociale sia nazionale che europeo, sia settoriale che intersettoriale, dal livello aziendale al macroeconomico (questo comprende lo sblocco di alcuni accordi settoriali non recepiti dalla Commissione, uno dei quali coinvolge direttamente Epsu), la contrattazione collettiva e i diritti sindacali;
deve prevedere valutazioni di impatto sociale dei processi, con un’attenzione particolare ai fenomeni di dumping e alle conseguenze della trasformazione digitale.
La Cisl a sua volta guarda al Pilastro come una grande occasione per rilanciare non solo la dimensione sociale dell’Europa, ma anche la sua integrazione politica e istituzionale. Annamaria Furlan ha ammonito che i principi del Pilastro sociale avranno efficacia “solo se saranno parte di una strategia politica europea più ampia, che comprenda una governance economica in grado di stimolare investimenti ed una struttura politica capace di gestirne i processi” ovvero, in prospettiva, la realizzazione di una vera Europa federale.
Un processo che appare oggi indebolito dagli strascichi della crisi economica, frenato dal prevalere nei processi decisionali di una prospettiva “intergovernativa” rispetto ad una propriamente “comunitaria”, e contestato dalle spinte populiste e sovraniste che trovano terreno fertile nelle ripercussioni dell’austerity, nella percezione diffusa di un disinvestimento dell’Ue dai bisogni di tutela dei suoi cittadini, e nel crollo della fiducia verso di essa che ne è la conseguenza.
In questo contesto la Cisl sta rilanciando il suo impegno per presidiare i temi e i processi dell’integrazione europea, nella consapevolezza che uno degli elementi portanti del modello sociale europeo – oltre che una leva indispensabile per riavvicinare le politiche ai bisogni reali e ricostruire la fiducia – è la partecipazione delle parti sociali. E propone un contributo diretto dei sindacati a questa integrazione attraverso la costruzione di un vero “livello di contrattazione europeo”, che inizi dall’armonizzazione dei diritti e delle tutele fondamentali – salute, sicurezza, formazione, previdenza – e porti alla negoziazione di accordi quadro e CCNL europei, integrabili tramite la contrattazione nazionale, passando anche per un potenziamento significativo del ruolo dei CAE.