A marzo di quest’anno, la Commissione europea ha presentato una prima stesura di quello che dovrebbe diventare il “pilastro europeo dei diritti sociali”, preannunciato a settembre 2015 dalla preasidenza Juncker. Per raccogliere le osservazioni in merito da parte di altre istituzioni comunitarie e dei parlamenti nazionali, delle parti sociali, della società civile, del mondo accademico e dei cittadini europei, oltre a varie occasioni di dialogo strutturato attraverso una serie di eventi, è stata avviata una consultazione pubblica che resterà aperta fino alla fine del 2016. L’iniziativa è rivolta alla zona euro, senza tuttavia escludere altri Stati membri che intendano aderirvi.
La crisi economica degli ultimi anni ha avuto profonde conseguenze sociali; allo stesso tempo i cambiamenti nel mondo del lavoro, uniti ai fenomeni demografici, vanno ulteriormente trasformando la situazione. Basta pensare all’evolvere delle strutture sociali, della famiglia, dell’organizzazione del lavoro; alla maggiore lunghezza della vita lavorativa e alla sua diversificazione; alla maggiore eterogeneità della popolazione in età attiva e alla diffusione di nuove forme di lavoro; al paradosso per cui, mentre aumentano i livelli di istruzione, resta alto lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze; all’aumento della speranza di vita e all’invecchiamento delle società europee; al progresso tecnologico e alla digitalizzazione dell’economia.
Nel rispetto del principio di sussidiarietà, la competenza principale in materia di politica sociale e del lavoro, che comprende il diritto del lavoro e l’organizzazione dei sistemi previdenziali, spetta agli Stati membri; tuttavia, l’esperienza dell’ultimo decennio dimostra poi che gli squilibri che persistono in diversi Stati membri possono compromettere la stabilità della zona euro nel suo insieme. Per questo la relazione dei cinque presidenti “Completare L’Unione economica e monetaria dell’Europa” chiede una maggiore attenzione all’occupazione e alla performance sociale come parte di un più ampio processo di convergenza verso strutture economiche più resilienti all’interno della zona euro. In questa logica si colloca l’iniziativa comunitaria, che stabilirà una serie di principi fondamentali per sostenere mercati del lavoro e sistemi di protezione sociale equi e ben funzionanti. Nei settori in cui l’UE non ha competenza per legiferare, gli Stati membri saranno perciò incoraggiati ad intervenire e il pilastro europeo costituirà un incentivo in più allo scambio di esperienze e buone pratiche.
Il pilastro europeo dei diritti sociali si fonderà sull’acquis sociale dell’Unione – cioè il corpus di norme sociali attualmente vigenti nell’ordinamento giuridico comunitario, il trattato sull’Unione europea (TUE), il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) , la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e le Direttive che ne derivano, ad esempio quelle relative a non discriminazione, salute e sicurezza, orario di lavoro, forme specifiche di lavoro come quello interinale, part time o a tempo determinato – integrandolo: questo implica che i principi in esso formulati non sostituiranno i diritti in essere, ma offriranno un mezzo per valutare l’efficacia delle politiche sociali e per l’occupazione dei vari Stati membri per avvicinarle e migliorarle. I risultati della consultazione contribuiranno alla stesura definitiva, che dovrebbe vedere la luce nel 2017. Una volta adottato, il pilastro diventerà un quadro di riferimento per vagliare la situazione occupazionale e sociale degli Stati membri partecipanti e farà da bussola per guidare i processi di riforma a livello nazionale.
Questi i principali ambiti di intervento inclusi nel pilastro europeo:
- Pari opportunità e accesso al mercato del lavoro: sviluppo delle competenze e apprendimento permanente, sostegno attivo per aumentare le opportunità di occupazione, per agevolare la transizione tra diversi status e migliorare l’occupabilità individuale
- Eque condizioni di lavoro ed equilibrio adeguato e stabile tra diritti ed obblighi dei lavoratori e dei datori di lavoro, come pure tra flessibilità e sicurezza per agevolare la creazione di posti di lavoro, le assunzioni e l’adattabilità delle imprese e promuovere il dialogo sociale
- Protezione sociale adeguata e sostenibile e accesso a servizi essenziali di elevata qualità, comprese l’assistenza sanitaria e l’assistenza a lungo termine, per garantire una vita dignitosa e la protezione contro i rischi e per consentire alle persone di partecipare pienamente al mondo del lavoro e più in generale alla società.
La Confederazione europea dei sindacati (CES), da parte sua, ha espresso apprezzamento per l’iniziativa e intento di contribuire affinché la versione finale del pilastro sia più coerente, completa e ambiziosa possibile; allo stesso tempo però ha sollevato qualche dubbio riguardo a quella che sarà la concreta implementazione dei principi formulati, a cominciare dal fatto che essi non avranno natura giuridicamente vincolante per gli Stati membri e che sarebbe, come detto, rivolto in prima battuta ai soli stati dell’eurozona e ai loro cittadini e lavoratori, creando un rischio di discriminazioni verso quelli dei Paesi non euro. Non solo: secondo la CES la versione attuale, oltre a comprendere concetti controversi come quello della “flexicuruity” che finora è stata declinata molto in termini di flessibilità e assai meno di sicurezza, non tutela né promuove abbastanza il ruolo della contrattazione collettiva, e cozza con altre iniziative di “revisione” dell’acquis comunitario (su tutte il programma REFIT) che evidenziano invece una spinta all’arretramento degli standard di tutela a favore delle libertà economiche