La rivoluzione tecnologica e le sue conseguenze – industria 4.0, green economy, sharing economy, smart work – non sembrano ancora aver dato luogo ad un’evoluzione dei percorsi formativi tale da consentire che il maggior numero possibile di cittadini europei sia equipaggiato fin da giovane con le competenze sia specialistiche che trasversali – e possa poi continuare ad aggiornarle e ad acquisirne di nuove durante tutto l’arco della vita – necessarie ad inserirsi in questi scenari garantendo da un lato il riposizionamento dei sistemi produttivi europei nel contesto globale dell’innovazione sostenibile, dall’altro un approccio efficace di medio-lungo periodo al contrasto di fenomeni sociali negativi come disoccupazione, esclusione e povertà. Per questo la Commissione europea ha adottato una “Nuova agenda europea per le competenze”.
Le previsioni del Cedefop, contenute in un recente rapporto, evidenziano la futura crescita della domanda di profili professionali altamente qualificati. La rivoluzione tecnologica condurrà da un lato al rimpiazzo delle posizioni impiegatizie con funzioni “abitudinarie”; dall’altro alla richiesta di nuove figure professionali in grado di governare i nuovi strumenti e metodi produttivi. Ma lo scenario fornito dalla Commissione parla di un numero preoccupante di “analfabeti digitali”: circa il 40% della popolazione adulta non possiede competenze digitali sufficienti, nonostante entro il prossimo decennio si stima che queste saranno indispensabili per svolgere il 90% delle occupazioni. L’Agenda individua perciò tre sfide urgenti – la mancanza di competenze di base soprattutto matematiche e digitali; la mancanza di trasparenza e visibilità delle competenze e delle qualifiche; la difficoltà di anticipare il fabbisogno di competenze – e propone 10 iniziative da attuare nei prossimi 2 anni:
- definizione di una Garanzia per le competenze per assicurare alla popolazione adulta scarsamente qualificata l’acquisizione di competenze alfabetiche, matematiche e digitali minime;
- revisione del Quadro europeo delle qualifiche;
- costruzione di una “coalizione per le competenze e le occupazioni digitali” per promuovere l’acquisizione di competenze digitali da parte di cittadini e lavoratori europei;
- definizione del “Piano per la cooperazione settoriale sulle competenze” per migliorare la capacità di analisi e mappatura del fabbisogno di competenze in settori specifici e promuovere un uso più efficiente dei fondi pubblici comunitari e nazionali.
- individuazione di uno strumento di determinazione delle competenze per i cittadini dei paesi terzi per definire con rapidità competenze e qualifiche di richiedenti asilo, rifugiati e altri migranti;
- revisione del Quadro Europass;
- individuazione di modalità per rendere l’istruzione e formazione professionale una scelta di elezione;
- revisione della Raccomandazione sulle competenze chiave, mettendo in risalto in particolare la promozione delle competenze imprenditoriali per l’innovazione;
- monitoraggio dei percorsi di carriera dei laureati;
- una proposta per progredire nell’analisi e nello scambio di buone pratiche sui metodi per contrastare la fuga di cervelli.
La preparazione di questa nuova agenda ha coinvolto anche le parti sociali europee, tra cui la Confederazione europea dei sindacati (CES) che ha posto l’attenzione su una serie di priorità, in particolare sull’accesso alla formazione come diritto individuale per tutti i lavoratori a prescindere dalle tipologie contrattuali (includendo perciò lavoratori a termine, a tempo parziale, precari, freelance ecc) da sancire preferibilmente nei contratti collettivi, o in alternativa per mezzo della legge; sulle misure necessarie per rendere questo diritto concretamente esigibile, una su tutte i permessi retribuiti, già codificata in una convenzione Oil sottoscritta finora solo da 13 Stati membri; sulla necessità di rendere la formazione continua parte integrante delle strategie di sviluppo delle imprese, nelle quali coinvolgere attivamente i sindacati tramite la contrattazione collettiva aziendale, sulla scorta di esempi virtuosi già collaudati in Germania, Francia e Regno Unito; e di coinvolgere altresì le parti sociali nella definizione delle competenze da sviluppare nei diversi settori, segnatamente attraverso i Comitati settoriali europei per le competenze. Mettendo in guardia al tempo stesso contro la tentazione di considerare la formazione di per sé una panacea, laddove non sia accompagnata da una strategia europea che incoraggi gli investimenti nella creazione di occupazione di qualità, in grado di assorbire e valorizzare i lavoratori qualificati che l’agenda si propone di formare.
Benché alcuni aspetti evidenziati dalla Ces abbiano trovato effettivamente spazio nel documento della Commissione, il sindacato europeo ne evidenzia anche alcuni limiti. La partecipazione delle parti sociali Ad esempio, in tema di riconoscimento delle qualifiche di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, lo ‘strumento di profilazione’ proposto appare come una misura troppo debole per sostenere un’effettiva integrazione occupazionale, sfida nella quale (così come in azioni mirate a favore di altre categorie a rischio povertà e discriminazione) la Ces aveva auspicato anche un coinvolgimento forte dei servizi per l’impiego. Sul fronte degli investimenti si parla sì di utilizzo dei fondi europei, ma non di investimenti ulteriori da incoraggiare a livello nazionale. Nessun riferimento specifico viene fatto in materia di permessi retribuiti (solo un generico sostegno alla ‘cultura dell’apprendimento permanente’), né di accesso alla formazione per i lavoratori atipici, né di alcuna forma di orientamento e guida allo sviluppo professionale da mettere a disposizione dei lavoratori, per incoraggiarli a fare uso in maniera proficua del diritto alla formazione. La stessa proposta revisione del Quadro per le competenze infine, secondo la Ces, dovrà procedere con molta cautela in considerazione del fatto che, mentre il lavoro dei Comitati settoriali europei per le competenze ha già portato o sta portando in diversi settori anche alla definizione di ‘quadri’ o ‘profili’ comuni, si incontrano poi numerose resistenze al momento di recepire e implementare i relativi accordi a livello nazionale.
Ultimo ma non ultimo, anzi molto significativo per la sua valenza ‘culturale’, il monito della Ces riguarda l’eccessivo focalizzarsi del discorso della Commissione: da un lato sul concetto di skills, laddove invece il bagaglio agito da un lavoratore qualificato è fatto di ‘competenze’ tecnico-specialistiche ma anche di conoscenze ed esperienze; dall’altro sull’occupabilità come unico obiettivo al quale finalizzare la mobilità intra-europea, che dovrebbe essere invece secondo il sindacato europeo anche un fattore chiave di rafforzamento della cittadinanza europea, dei valori democratici e della coesione sociale.