La globalizzazione, la creazione del mercato unico europeo, e l’affermarsi in tutti o quasi i settori economici di soggetti non più vincolati alla dimensione locale o anche nazionale – alle quali continua invece ad essere legata la contrattazione – hanno reso sempre più urgente l’esigenza di creare strutture e strumenti di rappresentanza dei lavoratori che permettessero di porsi come interlocutori e portatori di interessi nei confronti di questi soggetti. La UE ha riconosciuto e normato questo genere di organismi per la prima volta nel 1997 con una direttiva, riformulata e migliorata nel 2009, che istituisce i cosiddetti CAE: Comitati Aziendali Europei.
A tutt’oggi i CAE costituiscono l’unico organismo di rappresentanza collettiva dei lavoratori al quale sono riconosciute prerogative a livello sovranazionale. Prerogative che, va precisato subito, non ne fanno ad oggi un soggetto contrattuale pienamente inteso, ma che se ben sfruttate concretizzano in maniera efficace i diritti di informazione e di consultazione dei lavoratori, facendo del CAE un luogo chiave di partecipazione ai processi decisionali nelle imprese multinazionali.
Attraverso il CAE, infatti, rappresentanti dei lavoratori nei diversi paesi in cui un’azienda opera possono essere informati e discutere tra loro e con le controparti (il vertice aziendale e/o il management locale) argomenti che vanno dalla situazione economica e organizzativa complessiva dell’azienda, agli investimenti che ha intenzione di effettuare, all’introduzione di nuovi processi produttivi e a tutte le tematiche che riguardano occupazione, condizioni e metodi di lavoro e che abbiano potenziali ripercussioni in almeno due paesi. Di fatto anche i temi oggetto di direttive e regolamenti Ue, come orari di lavoro, congedi parentali, tutela di salute e sicurezza, responsabilità sociale e ambientale… possono considerarsi ‘transnazionali’ e pertanto passibili di diventare materia di confronto in seno al CAE. L’azienda, da parte sua, ha l’obbligo di condividere con i rappresentanti dei lavoratori tutte le informazioni utili a comprendere e valutare le situazioni che rientrano nell’ambito di competenza del CAE, e a tenere conto delle posizioni e delle proposte che questi a loro volta mettono sul tavolo.
La Direttiva europea 2009/38/CE è stata trasposta da ciascuno Stato membro nella propria legislazione nazionale, con un procedimento che ha coinvolto e co-responsabilizzato le parti sociali in varia misura a seconda della cultura e delle prassi vigenti in materia di relazioni sindacali. Ci sono comunque alcune regole base identiche per tutti gli Stati membri: l’azienda deve avere almeno 1000 dipendenti nell’Ue e 150 o più in almeno 2 Stati membri; l’iniziativa di istituire il CAE non può essere imposta dall’esterno ma deve venire dalle parti, ovvero la dirigenza o i lavoratori; l’accordo iniziale che istituisce il CAE e ne stabilisce le modalità di funzionamento viene negoziato tra il vertice aziendale e un ‘gruppo di negoziazione’ composto da rappresentanti del personale; dal momento in cui viene avanzata la richiesta l’accordo di istituzione del CAE deve essere raggiunto entro 3 anni, altrimenti scattano le disposizioni minime previste dalla direttiva che permettono comunque al CAE di partire con una base di operatività.
La Direttiva e le sue trasposizioni nazionali definiscono le ‘coordinate’ generali per l’istituzione di un CAE e la negoziazione di accordi aziendali transnazionali al suo interno; essa però non va intesa come una gabbia rigida, perché anzi offre alle parti in ogni realtà aziendale spazi per adattare il funzionamento del CAE alle proprie specificità. Oggi in tutta Europa – nell’area Ue e nel cosiddetto Spazio economico europeo – sono oltre mille le imprese che hanno un CAE operativo (ma le imprese che soddisfano i requisiti affinché si possa fare richiesta di istituirlo sono quasi il doppio) e rappresentano quasi 15 milioni di lavoratori. La grande maggioranza delle multinazionali coinvolte ha il quartier generale in Germania, Francia, Regno Unito, Svezia o Paesi Bassi; sono relativamente numerosi i CAE di cui fanno parte anche membri dei Paesi entrati nell’Ue dal 2004 in poi. La complessità, ma anche il vantaggio possibilità di discutere le strategie aziendali e le risposte sindacali in un organismo in cui coesistono prospettive nazionali tanto diverse sono evidenti, se si pensa che le disparità esistenti tra Stati membri sono causa di fenomeni di dumping sociale e contrattuale, oltre che di politiche aggressive di delocalizzazione mirate a ridurre al minimo il costo del lavoro.
Ecco perché è fondamentale conoscere e presidiare uno strumento come il CAE. Perché allo stato attuale è l’unico luogo nel quale si può essere informati tempestivamente su situazioni che travalicano i confini nazionali, anticipare processi di ristrutturazione e altre trasformazioni profonde nell’organizzazione del lavoro, attutirne gli impatti ed elaborare proposte alternative, anziché dover subire a giochi fatti scelte di enorme impatto sui lavoratori – ad esempio una delocalizzazione, o la chiusura di interi rami di attività – maturate fuori da ogni possibilità di intervento del sindacato e della contrattazione nazionale.
Sono problematiche che già ben conoscono i nostri colleghi di altri settori, esposti da più tempo alle dinamiche del mercato globale – è per questo che la Cisl, oltre naturalmente al sindacato europeo, ha maturato una expertise notevole riguardo al funzionamento dei CAE e agli accordi transnazionali – mentre il lavoro pubblico, fino ad anni recenti, sembrava destinato a restarne al di fuori; con l’eccezione, per quanto riguarda i settori coperti dalla Epsu, delle utilities quali le aziende dei servizi idrici e dell’energia, un tempo pubbliche e ora per lo più privatizzate. Di fronte all’espansione di multinazionali private anche nell’assistenza alla persona, in particolare nei servizi residenziali per le persone anziane e non autosufficienti, i sindacati di vari paesi europei hanno discusso e deciso con il coordinamento di Epsu, di richiedere l’attivazione di CAE nelle realtà più significative. Un processo che riguarda anche il nostro Paese, dove negli anni recenti queste aziende hanno acquisito strutture o anche intere reti precedentemente gestite da operatori locali, ed è per questo che stiamo attualmente seguendo la costituzione di due nuovi CAE nei gruppi Orpea e Korian. Crearli significa poter affrontare temi complessi – dal benessere organizzativo alle ristrutturazioni aziendali, agli eventuali riposizionamenti sul mercato che implichino l’abbandono o viceversa lo sviluppo di specifiche tipologie di servizi e relative competenze professionali – avendo accesso al piano industriale complessivo dell’azienda, all’interlocuzione diretta con i responsabili delle scelte strategiche, e possibilità di confrontare esperienze, coordinare iniziative e costruire una rappresentanza collettiva insieme con i sindacati di altri paesi, pur nella diversità delle pratiche negoziali.
Infine, con il lancio del Pilastro europeo dei diritti sociali (di cui parleremo a breve), il CAE potrebbe assumere un ruolo ancora più centrale per concretizzare l’impegno dichiarato dalle istituzioni comunitarie per il rafforzamento del dialogo sociale europeo e il maggior coinvolgimento delle parti sociali nel policy making europeo.